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Dienstag, 19. Oktober 2010

PRESENTAZIONE DI OPERE DI PITTORI ITALIANI ISPIRATE DAL ROMANZO DI I. CALVINO “LE CITTÀ INVISIBILI”


Chiara Santucci Ganzert

nel Consolato Generale d´Italia di Hannover (19 ottobre 2010)
Sono molto lieta che il Consolato Generale di Hannover abbia organizzato questa
presentazione, offrendo così l´occasione di mostrare ancora una volta le opere di
questi artisti, sia perchè esse davvero lo meritano, sia perchè sono state ispirate da
uno dei libri più belli e interessanti di Italo Calvino: “Le città invisibili”. La mostra
completa aveva già avuto luogo nella primavera scorsa in occasione del Festival
della Filosofia tenutosi ad Hannover, avvalendosi della partecipazione di artisti di
varie nazionalità; oggi presenteremo invece esclusivamente “opere italiane”, in
compenso però qualcuna in più rispetto a quelle esposte in aprile-maggio nella
Galleria Gallo Nero di Hannover.

Trovo inoltre che la tematica affrontata dalla “X Settimana della Lingua Italiana nel
Mondo” di quest´anno (L´Italiano nostro e quello degli altri) si addica perfettamente
anche al soggetto di questa mostra. Se interpretiamo “l´Italiano” nella sua accezione
più ampia non ci sarà più bisogno di ulteriori chiarimenti: chi, infatti, si è confrontato
con la “lingua degli altri” più di Calvino che, in particolar modo in questo – nel vero
senso della parola – fantastico romanzo, ha dato voce all´Oriente?
Ma non meno fantastiche sono state le interpretazioni fornite da questi artisti italiani
che hanno assolto brillantemente il difficile compito di dare una “lingua” perfino a....
città invisibili! Il risultato del gioco svoltosi fra questi elementi solo apparentemente
così differenti è stato così pieno di colori e sfaccettature, ma soprattutto così fertile,
che desidero iniziare questa presentazione all´insegna del simbolo della fertilità per
eccellenza: il melograno dipinto a tinte fortemente allegre e vivaci da Assunta
Verrone. Sappiamo tutti che già nell´antichità il melograno aveva un ruolo di
fondamentale importanza; basti pensare alla civiltà egiziana o alla cultura greca che,
per esempio, lo rese l´attributo immancabile di Afrodite.
Molto più modesto sarà invece il mio contributo a questa presentazione, non
essendo io una critica d´arte. Mi scuso pertanto con gli artisti se farò solo qualche
accenno alle loro opere (sperando di non averne travisato il senso) concentrando
maggiormente la mia attenzione sul significato e i simbolismi contenuti nel libro di
Calvino.
Anche questo compito mi ha tuttavia fatto sorgere inizialmente qualche
preoccupazione; temevo infatti che non sarei riuscita a trovare un filo conduttore che
mi guidasse nel labirinto di queste opere, a loro volta ispirate da un romanzo pieno di
tutte le allegorie, metafore e fantasie che caratterizzano lo stile di questo autore.
La prima domanda che mi sono posta è stata: è possibile trasporre il viaggio
intrapreso da Marco Polo da Venezia alla Cina (nel 13. sec.!) nella nostra epoca e
raccontarlo attraverso immagini nate nella realtà contemporanea delle nostre città,
mentre Calvino ci accompagna in un viaggio la cui rotta conduce a paesaggi
indefiniti, Paesi fantastici, villaggi allegorici, antiche metropoli sospese fra cielo e
terra, attraversando il regno dei morti, l´incognito dell´aldilà? Lo stesso accade con il
tempo: a volte siamo nella nostra epoca, più spesso nel passato o addirittura in
un´era non individuabile. A questo va ad aggiungersi che “Le città invisibili” è stato
scritto nel 1972. Da allora sono quindi trascorsi quasi 40 anni che hanno apportato
forti cambiamenti nelle nostre città ma anche nelle nostre teste: basti pensare
all´evoluzione avvenuta nell´architettura, nell´urbanistica, ma soprattutto nei riguardi
della tutela dell´ambiente e dell´ecologia. In che modo – mi sono chiesta - un libro
così “datato” ha ancora qualcosa da dirci? Non ero affatto certa di trovare punti di
contatto con un mondo cambiato, almeno in apparenza, in modo particolarmente
drastico in questi ultimi decenni. Il mio scetticismo è stato tuttavia di breve durata: la
rilettura del romanzo, ma soprattutto i quadri degli artisti mi hanno aiutata ad
orientarmi – per quanto ciò sia possibile in un´opera di Calvino. In ciascuna di queste
città invisibili è stato comunque facile scoprire costanti ed allusioni che rispecchiano
con incredibile immediatezza la nostra realtà, ma anche fantasie e timori ad essa
connessi perchè: “...le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, ... le
loro regole assurde, le prospettive ingannevoli.”
Desidero pertanto leggere e sottolineare i passaggi del libro che a mio parere
maggiormente testimoniano non solo dell´attualità del viaggio di Marco Polo ed il suo
confrontarsi con oriente e occidente; non solo depongono a favore della modernità
del “diario di viaggio” di Calvino, ma offrono l´occasione per riflettere sui sogni e i
bisogni, sui desideri e le paure immanenti di noi, “cittadini” da una parte, e viaggiatori
in terre sempre più lontane dall´altra.
Per coloro che non conoscono l´opera di Calvino premetto che tutte le città visitate
da Marco Polo durante questo viaggio fantastico, portano il nome di una donna: la
città, femminile in italiano – die Stadt, femminile in tedesco: la donna per eccellenza
con le sue contraddizioni, i suoi segreti? La donna forte e fragile come per es. la città
di Ottavia, costruita su tele di ragno che ne costituiscono le fondamenta e allo stesso
tempo la sua gracilità? Ottavia non ha colpito solo me ma anche Margret Costantini
che nel suo quadro ci ha restituito con estrema sensibilità ed in misura quasi
immateriale la città-ragnatela. La cosa più singolare è che Ottavia non si trova al
margine di un precipizio, bensì: “...È sul vuoto, legata alle due creste con funi e
catene e passerelle. ... Si cammina sulle traversine di legno, attenti a non mettere il
piede negli intervalli ...[ perchè i suoi abitanti] sanno che più di tanto non regge.”
Non si tratta forse di un monito tanto evidente quanto attuale a tutti noi,
un´esortazione a comportarci con prudenza nei confronti delle nostre città, a non
abusarne, a non aspettarci tutto da loro senza voler dar niente in cambio?
D´altra parte le città sono fatte per viverci e abitarci, altrettanto esagerato sarebbe
pertanto l´atteggiamento contrario, come si rende necessario per es. a Bauci, la città
costruita su gambe di fenicottero, nella quale il rispetto da parte dei suoi abitanti deve
arrivare: “... a tal punto da evitare ogni contatto, ... [perchè solo] i sottili trampoli che
s´alzano dal suolo a gran distanza l´uno dall´altro e si perdono sopra le nubi
sostengono la città.”
A queste condizioni non è possibile che si sviluppi ciò che è più importante per una
vita in città o, meglio, per la vita DELLA città stessa: la convivenza pacifica, il
rapporto di reciprocità, il vivere insieme, l´uno per l´altro; tutti i fattori, insomma, che
fanno di un agglomerato di edifici ” la città”.
Ma si vive davvero meglio in luoghi che sopportano più di Ottavia e Bauci e che noi
decoriamo sontuosamente correndo poi il pericolo di farci condizionare dal lusso al
punto da indurci a comportarci da arroganti padroni, pronti a far pagare ai più deboli,
ai meno fortunati questo sfarzo? Perfino il Gran Kahn aveva riconosciuto che la
troppa opulenza schiaccia un impero se questo è: “...ricoperto di città che pesano
sulla terra e sugli uomini, stipato di ricchezze e d´ingorghi, stracarico d´ornamenti e
d´incombenze, complicato di meccanismi e di gerarchie, gonfio, teso, greve.”
Oggi più che mai, in tempi di crisi finanziaria, queste righe suonano come un appello
scritto appena adesso che ci richiama alla moderazione, a maggiore semplicità, a
uno stile più scarno. Non è forse arrivato il momento di tornare agli elementi
essenziali della vita? Non corriamo il rischio, in caso contrario, che in questa
sovrabbondanza di “ornamenti e meccanismi” (ed io personalmente aggiungerei: di
macchinari) si arrivi ad una situazione insopportabile come quella venuta a crearsi
nella città Leonia, in cui sembra che da una parte: “...la vera passione di Leonia sia il
godere delle cose nuove e diverse“, dall´altra però ”...gli spazzaturai sono accolti
come angeli” perchè “le cataste [di rifiuti] s´innalzano, si stratificano, di dispiegano su
un perimetro più vasto ... e il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne
accumula; ... rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola
forma definitiva: quella delle spazzature di ieri e... più ne cresce l´altezza, più
incombe il pericolo delle frane [ che] sommergeranno la città nel proprio passato.”
L´allegoria mi sembra, nel caso di Leonia, quanto mai evidente: se non siamo in
grado di autoimporci dei limiti, corriamo il rischio di soffocare nel nostro stesso
passato; l´unica alternativa è quella di riciclare la nostra storia, affinchè le
generazioni future possano approfittare della sua rielaborazione. Così come nel caso
di Olinda, la città che di certo ha visitato anche Margret Costantini, la quale: “cresce
in centri concentrici, come i tronchi degli alberi che ogni anno aumentano d´un giro ...
[e] ... le vecchie mura si dilatano ... mantenendo le proporzioni ... per far posto a
quelle più recenti.”
Se tuttavia non rispettiamo le proporzioni e tendiamo a comportarci in modo non
adeguato alle circostanze, finiremo con il soffocare nella spazzatura. E chi vuole
morire per soffocamento? Prima di arrivare a quel punto ci si darà alla fuga, come
Francesco Lamazza vuol darci ad intendere con i colori cupi e tenebrosi del suo
quadro, e si cerca poi di correre verso la luce che, nella sua seconda opera, apre
uno spiraglio verso un orizzonte schiarito da colori più tenui, in cui la tensione si è
allentata el´atmosfera rarefatta diffonde un senso di sollievo, di calma: la quiete dopo
la tempesta.
Il monito di Calvino si ripete - una sorta di filo conduttore che con discreta insistenza
attraversa il romanzo: cercate modelli alternativi, abituatevi ad uno stile di vita più
semplice, più elastico. E che cosa c´è di più essenziale ed ecologico di una bicicletta
nelle nostre città sempre più oppresse dal traffico e minacciate dallo smog? E che
cosa ci regala allo stesso tempo maggior flessibilità? La coppia in bicicletta dipinta da
Giuseppe Scigliano ha colto in pieno il messaggio e dato la risposta adeguata ai
quesiti, proclamando altresì la propria indipendenza nel pedalare fra grattacieli e
strette stradine. E già sembra che il cupo cielo si rischiari ..... .
Un modello alternativo lo troviamo anche nella città di Eutropia, dove “... la società [è]
ordinata senza grandi differenze di ricchezza o di autorità, i passaggi da una
funzione all´altra avvengono quasi senza scosse, la varietà è assicurata dalle
molteplici incombenze .” A Eutropia sono tutti talmente flessibili che addirittura: “ Il
giorno in cui gli abitanti si sentono assalire dalla stanchezza, e nessuno sopporta più
il suo mestiere, i suoi parenti, la sua casa e la sua via, i debiti, la gente da salutare o
che saluta, allora tutta la cittadinanza decide di spostarsi nella città vicina ... dove
ognuno prenderà un altro mestiere, un´altra moglie, vedrà un altro paesaggio ... .
Così la loro vita si rinnova di trasloco in trasloco.”
Ma Calvino ci propone un esempio di vita ancor più alternativa e libera da
convenzioni: Sofronia, la città divisa in due metà, di cui l´una è stabile, l´altra
provvisoria: “In una c´è il grande ottovolante ..., la giostra..., la ruota delle gabbie
girevoli, il pozzo della morte ... . L´altra mezza città è di pietra e marmo e cemento,
con la banca, gli opifici, i palazzi, il mattatoio, la scuola e tutto il resto.” Ma: “Ogni
anno arriva il giorno in cui i manovali staccano i frontoni di marmo, calano i muri di
pietra, i piloni di cemento, smontano il ministero, il monumento, i docks, la raffineria
di petrolio, l´ospedale [e] li caricano sui rimorchi. ... “Resta la mezza Sofronia dei
tirassegni e delle giostre, ... dell´ottovolante.” Possiamo quindi vivere in palazzi di
marmo, avere successo nella professione, stipulare assicurazioni d´ogni tipo ecc.;
niente di tutto ciò ci offre realmente una continuità: la stabile dimora è, in fondo,
quella del Luna Park, perchè tutto il resto della nostra vita viene continuamente
smontato e trasportato altrove. Ciò che davvero nessuno ci può togliere e dovremmo
conservarci intatta – questa almeno è la mia chiave di lettura – è la voglia di vivere, di
divertirci, accettare i rischi di un viaggio sull´ottovolante (o in bicicletta), restare,
insomma, bambini.
Ma a proposito di bambini: quanto sicure, quanto vivibili sono le nostre città per i
nostri piccoli? Cosa vuol dirci Assunta Verrone con il suo quadro “I portieri invisibili
delle città”? Che senza portieri – siano essi intesi come difensori di una squadra o
guardiani dei nostri palazzi – non c´è più alcuna sicurezza? Siamo arrivati al punto
che non possiamo più affidare i bambini solo all´ Angelo Custode ma che occorre
loro un perenne “controllore”? Che ne sarebbe, allora, della tipica spontaneità
infantile, della loro spensieratezza,dell´allegria che perfino in una città difficile come
Raissa emanano almeno i più piccini? “Non è felice la vita a Raissa. D´estate le
finistre rintronano di litigi e piatti rotti. Eppure, a Raissa, c´è ogni momento un
bambino che da una finestra ride ad un cane. ... [E lì] corre un filo invisibile che
allaccia un essere vivente a un altro ... cosicchè a ogni secondo la città infelice
contiene una città felice.”
Quanta felicità si possa nascondere in una città infelice e quali bellezze si possano
scoprire in luoghi sconosciuti sperimenta anche un cammelliere a Dorotea, la città in
cui le donne “guardano dritto negli occhi”. In questa città città deve essere stato
anche Emilio Dettori, altrimenti non ci avrebbe regalato questo bellissimo, penetrante
sguardo di donna che di certo avrà incantato anche il cammelliere, suscitandogli
pensieri filosofici: “Quella mattina a Dorotea sentii che non c´è bene della vita che
non potessi aspettarmi. Nel seguito degli anni i miei occhi sono tornati a contemplare
le distese del deserto e le piste delle carovane; ma ora so che questa è solo una
delle tante vie che mi si aprivano quella mattina a Dorotea.” Non era, dunque, che
UNA delle tante vie. Un´altra avrà senz´altro condotto ancora una volta Dettori a
Zobeide, una delle città del desiderio, che venne fondata dopo che “... uomini di
nazioni diverse ebbero un sogno uguale, videro una donna correre di notte per una
città sconosciuta, coi capelli lunghi ... Sognarono d´inseguirla. ... non la trovarono ma
... ognuno [di loro] rifece il percorso del suo inseguimento [e] ... ordinò diversamente
che nel sogno gli spazi e le mura in modo che non gli potesse più scappare.” Forse
ha avuto questo sogno anche Giuseppe Scigliano che, fra le alte mura di questa
severa città, ha trovato il suo ´Angelo nascosto´.
Ma anche se non ci si sposta continuamente da un posto all´altro e si rimane sempre
nello stesso luogo, sta a noi scoprire tutte le sfaccettature e gli apetti di una città,
perchè la noia non viene risparmiata solo agli abitanti della città di Smeraldina, dove
“... la rete dei passaggi non è disposta su un solo strato, ma segue un saliscendi di
scalette, ballatoi, ponti a schiena d´asino, vie pensili. Combinando segmenti dei
diversi tragitti sopraelevati o in superficie, ogni abitante si dà ogni giorno lo svago
d´un nuovo itinerario per andare negli stessi luoghi. Le vite più abitudinarie e
tranquille a Smeraldina trascorrono senza ripetersi.” Ed io aggiungo, quindi, che
dobbiamo essere noi a scoprire tutti gli “strati” delle nostre città e a trarne
quotidianamente un nuovo piacere.
Potremmo andare avanti per ore (e senza annoiarci) nella lettura e interpretazione di
questo libro, chè in ciascuna delle città invisibili è possibile scoprire somiglianze con
le nostre, visibili; da ognuno di questi luoghi fantastici potremmo portarci un
metaforico souvenir. Ma fermiamoci qui. Tuttavia, prima di concludere, vorrei tornare
brevemente al tema con cui ho dato inizio alla presentazione: l´accortezza, il rispetto
per le nostre città, e incoraggiare noi tutti a farne maggior uso, prendendo esempio
dagli abitanti di Andria, i quali sono “... convinti che ogni innovazione nella città
influisca sul disegno del cielo, prima d´ogni decisione calcolano i rischi e i vantaggi
per loro e per l´insieme delle città e dei mondi.” Se anche noi valuteremo
ponderatamente i rischi dei nostri interventi sui centri urbani e sulla natura ed
eviteremo gli effetti collaterali del consumismo, non succederà ciò che accadde nella
città di Cecilia, nella quale le capre “brucavano cartaccia nei bidoni dei rifiuti” e
pascolavano sull´erba dello spartitraffico .... .

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